The Euphoria of Being

[…] Quesiti sull'esistenza di Eva si traducono nei movimenti liberi ed espressivi della danza contemporanea, in improvvisazioni che producono brevi interpretazioni danzate o intermezzi recitati, secondo un approccio alla coreografia vicino all'espressivo teatro-danza di Pina Bausch.

[…] La fotografia di Claudia Kovacs – in parte originaria di Debrecen, come Eva – segue la protagonista da vicino, con primissimi campi e inquadrature che ne colgono i sentimenti, e che valorizzano la sua forza di volontà e il desiderio di vivere pienamente il presente, nonostante la stanchezza e i limiti fisici di un corpo non più giovane, ma reso bellissimo e leggero dal potere creativo della danza.

The Euphoria of Being, il documentario della coreografa ungherese Réka Szabó (fondatrice della compagnia “The Symptoms” e docente universitaria di matematica), è incentrato sugli ultimi tre mesi di prove della sua performance di teatro-danza “Sea Lavender” con due sole danzatrici: la giovanissima Emese Cuhorka e la novantenne Eva Fahidi. Dopo 77 repliche tra Germania, Austria e Ungheria, lo spettacolo è tuttora in cartellone nei teatri di Budapest e l'idea di questo film è nata proprio durante le sue prove.

La personalità di Eva, originaria di Debrecen, appassionata di danza e unica sopravvissuta ad Auschwitz nella sua famiglia, colpisce la coreografa-regista Szabó, che la contatta e guida così le sue due interpreti nella creazione di una performance. Quesiti sull'esistenza di Eva si traducono nei movimenti liberi ed espressivi della danza contemporanea, in improvvisazioni che producono brevi interpretazioni danzate o intermezzi recitati, secondo un approccio alla coreografia vicino all'espressivo teatro-danza di Pina Bausch. La coreografa costruisce il suo lavoro ponendo identiche domande alle due danzatrici e spesso la giovane Emese, che non conosce il passato di Eva, risponde in modo personale e si ritrova a indovinare il contenuto delle risposte di Eva, altrimenti a lei ignoto. In questo modo scaturisce un interessante dialogo tra Eva ed Emese, tra una donna che ha vissuto tante esperienze, spesso dolorose, e una sensibile e talentuosa giovane ballerina, che cerca di scoprirle dando luogo a risultati inaspettati, date le imprevedibili somiglianze che emergono tra due generazioni di donne vissute in epoche distanti.

Se da un lato il tema dell'olocausto non è nuovo nelle arti performative e attraversa parte di quest'opera, è tuttavia interessante il metodo di lavoro preferito da Réka Szabó, che individua una forma stilistica e una chiave per poter trasmettere dure verità storiche alle nuove generazioni, per avvicinare il passato al presente, e lo trova introducendo la vita di Eva – anche autrice del romanzo autobiografico The Soul of Things – proprio nella forma di un dialogo tra lei e una giovane danzatrice. Lo spettatore è posto di fronte a un'innegabile sintonia fra i due personaggi, che potrebbero essere Eva e la sorella Gilike, scomparsa a undici anni. La loro affinità è dovuta anche alla capacità delle danzatrici di immedesimarsi nei loro reciproci ruoli, ed è legata allo sguardo sempre vivace, moderno di Eva, capace di superare la quotidianità e il particolare del suo vissuto per trasmettere il lato più umano della sua esperienza. Un lato che Eva condivide attraverso i sogni, i ricordi, la rielaborazione di traumi, creando grande complicità con Emese e la coreografa, e suscitando forti emozioni nel pubblico.

Scorrono in pochi istanti del film diversi momenti dell'esistenza di Eva, che diventano scene salienti della performance. Il desiderio della protagonista di danzare nuda davanti a uno specchio da ragazzina diventa una delle sequenze finali del film in cui i corpi di Eva e di Emese si confondono l'uno nell'altro mentre danzano, come se si specchiassero fra loro, mentre le loro identità si sovrappongono, con la tecnica cinematografica della dissolvenza, perché si vede ora Emese nuda, ora mentre indossa un vestito che Eva le ha donato. A queste scene si aggiungono i racconti di Eva: gli istanti irreversibili di separazione dalla madre, dal padre e dalla sorella a diciotto anni nei campi di concentramento; l'assenza di dignità che ha visto nei corpi delle migliaia di donne sporche e affamate ad Auschwitz; la sua gioia di vivere, anche un po' egoista, negli anni da sopravvissuta; il suo risentimento ancora forte nei confronti del padre per non essere scappato e aver portato in salvo la famiglia, momento proposto sulla scena attraverso un assolo danzato da Emese, rivestita di una tuta nera, sinuosa e scura come la notte e gli incubi più cupi.

Il pubblico assiste al vissuto di Eva sia sul palcoscenico, dove alla danza si alterna la recitazione, sia attraverso sequenze del film dove Eva è a casa, nello spogliatoio, dal parrucchiere e spesso si intrattiene in una conversazione libera e ironica con la regista – altrimenti volutamente ai margini dell'immagine – su temi esistenziali che trascendono il dramma dell'olocausto e riguardano ogni donna che si interroghi sulla sua identità di genere, su come affrontare l'invecchiamento fisico, su cosa sia brutto o immorale nella vita, con sagge osservazioni, distacco emotivo e un punto di vista anticonformista. La fotografia di Claudia Kovacs – in parte originaria di Debrecen, come Eva – segue la protagonista da vicino, con primissimi campi e inquadrature che ne colgono i sentimenti, e che valorizzano la sua forza di volontà e il desiderio di vivere pienamente il presente, nonostante la stanchezza e i limiti fisici di un corpo non più giovane, ma reso bellissimo e leggero dal potere creativo della danza.

A conclusione della performance Eva interpreta sul palco il suo sogno ricorrente di volare come un'ape e, aiutata da Emese, spicca davvero un magnifico volo per il pubblico, perché può librarsi al di sopra e nonostante tutto il dramma che ha caratterizzato la sua vita e, in particolare, sa lanciare – attraverso il film – un monito a tutti gli spettatori, giovani e meno giovani: la constatazione che l'essere in vita, indipendentemente dalle condizioni nelle quali ci troviamo, ha il potere di generare in noi euforia e deve spronare a vivere ogni momento con decoro, dignità, rispetto verso se stessi, bellezza. Un meritato premio SRG-SSR Settimana della critica 2019 a questo film di Réka Szabó, accolto in sala da un lunghissimo applauso: un'ode alla danza, un toccante inno alla vita.

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The Euphoria of Being | Film | Réka Szabó | HU 2019 | 83’ | Locarno Film Festival 2019

Grand Prix SRG SSR Semaine de la critique Locarno 2019

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First published: August 19, 2019