Mank esplora un nuovo punto di vista sulla genesi del capolavoro assoluto di Orson Welles, Quarto potere (Citizen Kane, 1941), ovvero quello dello sceneggiatore Herman J. Mankiewicz (Mank), un personaggio complesso, bizzarro e geniale dell’età d'oro di Hollywood. Sorretto da un’ottima interpretazione di Gary Oldman nel ruolo del protagonista ed accompagnato da un ensemble internazionale di tutto rispetto, David Fincher cerca di omaggiare – in maniera quasi maniacale – l’estetica del cinema dell’epoca, dal prezioso bianco e nero con feel di pellicola orchestrato da Erik Messerschmidt alla ricca colonna sonora in mono ad opera di Trent Reznor e Atticus Ross, senza dimenticare il curatissimo sound design realizzato da Ren Klyce, capace di restituire il calore e la maestosità delle voci degli interpreti.

La storia – basata su una vecchia sceneggiatura scritta dal padre del regista, Jack – copre dieci anni della vita di Mank e della turbolenta creazione di Quarto Potere, riservando però grande spazio al microcosmo di personaggi ed in particolare alla sua segretaria Rita (Lily Collins), all’attrice Marion Davies (Amanda Seyfried), al produttore Irving Thalberg (Ferdinand Kingsley), alla “povera” moglie Sara (Tuppence Middleton), all’immaginario regista di corti propagandistici Shelly Metcalf (Jamie McShane, protagonista di un’interessante sotto-trama ed ispirato vagamente a Felix E. Feist) e, per ovvie ragioni, al magnate William Randolph Hearst (Charles Dance). La presenza di Orson Welles (Tom Burke), più defilata, è una scelta narrativa nel complesso premiante.

Fincher costruisce il suo lavoro registico principalmente sulla ricerca delle atmosfere e dello zeitgeist, romanzando fatti storici e dicerie e manipolando in parte la cronologia degli eventi. Ciononostante, l’ampio focus dell’opera rappresenta il suo più grande punto di forza e di debolezza. Le molteplici relazioni coltivate da Mank, i contatti tra potere politico ed industria cinematografica, gli effetti della Grande Depressione sulle major, il complesso rapporto con la moglie, la dipendenza dall’alcool e la stesura della sceneggiatura sono tutti temi trattati all’interno del lungometraggio, ma non sempre con adeguata profondità, anche per banali ragioni di minutaggio. In questo caso, restringere il raggio avrebbe probabilmente consentito un’esplorazione più intima e memorabile della vita di Mank.

Anche la chiusura della vicenda, ironica e sprezzante, potrebbe paradossalmente arrivare in maniera frettolosa e posticcia, dopo oltre due ore di film. Al di là delle interpretazioni ispirate, di Mank resta apprezzabile l’impegno di Fincher nell’affrescare, con grande nostalgia e per mezzo di un’esecuzione tecnica impeccabile, un’epoca che ha segnato indiscutibilmente la storia del cinema mondiale.

 

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Mank | Film | David Fincher | USA 2020 | 131

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First published: December 09, 2020