Io capitano

[…] La storia universale di Seydou insegna anche che il concetto di virtù non appartiene solo agli eroi di epoche remote e che la nobiltà d'animo, anche se accade raramente, può ancora brillare di una luce accecante.

L'intreccio fiabesco, presente in diverse opere di Matteo Garrone, caratterizza anche la trama di Io capitano. Ma qui l'elemento che seduce il protagonista ed innesca l'azione non scatena un vortice di perdizione (L'imbalsamatore), o disfatte  coronate da una metamorfosi finale (Pinocchio), bensì consente di mettere alla prova l'integrità morale del protagonista, Seydou (Seydou Sarr, premio Mastroianni per la recitazione), che affronta una serie di traversie con grande fiducia nelle proprie capacità. Il lieto fine dà un senso all'estenuante viaggio e rende «etico più che politico» – secondo le parole di Garrone – questo bellissimo film (Leone d'argento per la regia).

Il viaggio di Seydou e del cugino Moussa (Moustapha Fall) segue le tappe costanti dei racconti di tanti migranti sopravvissuti al deserto africano: i trafficanti corrotti, le prigioni della mafia libica, le insidie del mare aperto. Ma il particolare della storia si apre anche al significato universale di cosa rappresenti un viaggio, nella sua dimensione esistenziale più ampia. Non a caso il film si apre e si chiude con l'immagine di una mappa sbiadita dell'Africa, proprio a indicare la centralità del tema del “viaggio”.

In una delle sequenze finali la soggettiva di Seydou e Moussa, che osservano il profilo della costa siciliana dallo scafo capitanato da Seydou, sancisce la maturità del protagonista. Lo spettatore sa che già prima di toccare terra Seydou è diventato adulto, è un capitano, è padrone del suo destino: le settimane di viaggio sono state un momento di scoperta di sé e del suo coraggio; di scoperta di un mondo altro rispetto a quello di origine, di un mondo ostile e ingiusto; di scoperta di un mondo adulto cinico e lontano dai sogni innocenti dell'adolescenza; di sfida alla natura, alla sua vastità indomabile, in grado di sottomettere l'uomo. 

Infatti il paesaggio, come in altri film del regista, è stato d'animo, e la bellezza pittorica di sequenze girate dall'alto (splendida la fotografia di Paolo Carnera), come quella del deserto o dello scafo che solca le onde luccicanti del Mediterraneo, ha un significato profondo. La lunga sequenza del deserto, dominata dai toni del giallo e del nero, con le dune dorate che sfumano in un orizzonte infinito e sulle quali si stagliano, filiformi, le scure sagome umane, nella loro marcia disperata e faticosa sotto il sole, sintetizza tutta l'angoscia dell'uomo di fronte alla forza impari della natura. 

Ma questo viaggio è soprattutto una sfida al destino: fin dalle prime tappe, i giovani sembrano dei personaggi boccacceschi, facilmente raggirati e costretti a sborsare denaro al primo venditore di sogni. A differenza però che nell'autore medievale, i giovani sprovveduti non imparano la lezione dai loro aguzzini e non sopravvivono alla sfortuna diventando più scaltri di loro. Moussa proverà a farsi astuto nascondendo il suo denaro e poi scappando dalla prigione, ma la pagherà caramente, con una pericolosa ferita alla gamba.

In un intreccio ben congegnato si assiste così a un'evoluzione dinamica dei protagonisti, a una loro crescita interiore, addirittura a uno scambio dei loro ruoli: Seydou inizialmente indeciso e dominato dalla determinazione di Moussa, diventa poi sicuro di sé, non ingannando il prossimo, ma attraverso il duro lavoro e la forza che gli proviene dall'agire sia con la ragione (moderno Robinson Crusoe, riesce a riportare all'ordine i passeggeri del suo scafo) sia con il cuore (non smetterà mai di cercare suo cugino). E alla fine sarà lui invece di Moussa, grazie alla perseveranza e all'onestà, a salvare il cugino e a voler perseguire il sogno di arrivare in Italia, nonostante le tante incognite.

La musica (affidata ad Andrea Farri), parimenti importante quanto la fotografia nei film di Garrone, esprime l'ambizione dei protagonisti che in Europa sognano il successo come cantanti. In realtà nel film l'elemento sonoro predomina soprattutto quando il regista tratteggia le radici africane dei personaggi: un intero mondo di rituali, di danze ritmate e legate ad antiche tradizioni, che Seydou forse non sa di lasciare per sempre, con la sua partenza. Infatti la comunità senegalese che gli offre alloggio a Tripoli, di sera si riunisce a guardare in televisione una partita di calcio, ma non danza più con costumi dai colori sgargianti, come faceva la mamma di Seydou alle feste in Senegal. Quell'universo appare allo spettatore, prima ancora che al protagonista, irrimediabilmente lontano.

Quando la realtà è troppo dura e sovrasta il protagonista, nel corpo e nell'anima (dopo le torture in prigione o durante la marcia a piedi nel deserto), l'evasione ha il sopravvento. Il regista rompe così i codici di una narrazione realistica introducendo elementi fantastici: Seydou è disposto a staccarsi dal gruppo di uomini in cammino nel deserto per aiutare una signora che non riesce più ad andare avanti. Eppure i suoi sforzi si rivelano vani e la donna crolla. La pena che traspare sul volto del ragazzo è insostenibile. Ad un certo punto, Seydou prende per mano la signora, che inaspettatamente si rianima, si alza e comincia a volare a fianco a lui. L'elemento magico, come nella scena del volo in Miracolo a Milano (1951) di Vittorio De Sica o del bambino che vola sorretto da tanti palloncini ne Le ballon rouge (1956) di Albert Lamorisse, capovolge la situazione per qualche secondo, e assume il ruolo di una giustizia superiore che eleva gli afflitti.

Il film lascia all'immaginazione dello spettatore le ipotesi sull'esito del viaggio e non si prefigge il compito di esprimere un giudizio, anche se si avverte l'urgenza di inviare un monito a chi si avventura in quest'impresa senza conoscerne i pericoli, di volgere un'accusa verso chi sfrutta la disperazione altrui, di offrire uno sguardo privilegiato agli europei che guardano ai migranti come numeri senza un volto e un'anima. E la storia universale di Seydou insegna anche che il concetto di virtù non appartiene solo agli eroi di epoche remote e che la nobiltà d'animo, anche se accade raramente, può ancora brillare di una luce accecante.

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Io capitano | Film | Matteo Garrone | IT-BE 2023 | 121’ | CH-Distribution: Pathé Films

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First published: September 17, 2023