Richard Serra | Films and Videotapes

[…] Serra lavora sistematicamente a partire dal set e dal frame dell’inquadratura della telecamera, che costituiscono una griglia selettiva entro cui realizzare una performance.

[…] C’è una riflessività specifica nei lavori di Serra che concerne il medium film/video – con un approccio che si potrebbe dunque definire “modernista” – che così rende tali lavori altrettante esplorazioni delle potenzialità del medium stesso.

[…] È infatti importante mettere in rilievo come la riflessione sul medium, sulla grammatica dell’immagine in movimento e dei suoi strumenti, ha una valenza liberatoria e sperimentale che si trova in perfetta continuità coi valori critici, ampiamente libertari, riscontrabili nei contenuti dei video a tenore esplicitamente politico.

Grazie alla lungimirante iniziativa del direttore Josef Helfenstein, la sezione “contemporanea” (“Gegenwart”) del Kunstmuseum di Basilea ha proposto una retrospettiva unica perché la prima interamente dedicata ai film e i video dell’artista americano Richard Serra. Ben sedici lavori sui ventuno totali sono esposti negli spazi del museo, allestiti con intelligenza per proporre diversi formati di fruizione dei video e dei film in 16mm. La curatela di Søren Grommel eccelle per la resa architettonica minimalista, che con i suoi materiali e l’uso accorto dello spazio valorizza al meglio le “installazioni” video. Diversi gradi di oscurità, che dimostrano le virtù tanto del black box quanto del white cube come anche della loro intersezione, e diverse qualità di schermo, dal muro al telo alle scatole televisive, presentano tutta la varietà di una materia audiovisiva che fa sentire la sua presenza: sia i proiettori di pellicole in 16mm, con il loro tipico rumore, sia i box che proteggono i tubi catodici risaltano per la loro fisicità. Proprio per questo l’allestimento minimalista ed omogeneo diventa prezioso, dal momento che permette di equilibrare tale fisicità come anche la diversità dei dispositivi messa in scena.

L’esposizione di Basilea è anche il risultato di un lungo lavoro di ricerca e di collaborazione, in particolare con Richard Serra stesso e con il MoMa di New York, lavoro per il quale va lodato ancora una volta il curatore Søren Grommel. Uno dei risultati di questa retrospettiva esclusivamente dedicata alle immagini in movimento dell’artista americano è quello di poter chiaramente apprezzarne la specificità filmica e video. Nella prefazione di un bellissimo volume di approfondimento sull’esposizione – in cui troviamo uno splendido saggio di Tom Holert e un’analisi descrittiva di Maja Naef – Grommel tiene a ribadire quanto Serra stesso ha sempre dichiarato: nonostante la sua fama di scultore, i suoi lavori audiovisivi non sono affatto “scultorei”, né vi va cercato un approccio scultoreo. Serra lavora sistematicamente a partire dal set e dal frame dell’inquadratura della telecamera, che costituiscono una griglia selettiva entro cui realizzare una performance. La messa in scena non riguarda dunque l’azione ma il contesto dell’azione, rivelando così come l’azione performativa funga da punto di partenza del lavoro filmico.

Se questa centralità della connessione tra set e performance richiama certamente due fonti ispiratrici decisive delle “sperimentazioni” di Serra alla fine degli anni Sessanta, ovvero Bruce Nauman e Yvonne Rainer (oltre a quel pioniere assoluto che fu Michael Snow), il dispositivo task-oriented – per riprendere la sottolineatura decisiva da cui muove il lucido saggio di Tom Holert – è solo un punto di partenza per Serra. La specificità del suo lavoro con le immagini in movimento non è solo quella di partire dal set per realizzare poi una performance qualsiasi, perché le performance qui in causa tematizzano esplicitamente il set stesso, il frame, e più in generale il medium film o video. C’è una riflessività specifica nei lavori di Serra che concerne il medium film/video – con un approccio che si potrebbe dunque definire “modernista” – che così rende tali lavori altrettante esplorazioni delle potenzialità del medium stesso.

Le opere di Serra esposte a Basilea costituiscono ciascuna nient’altro che uno studio. Questo è il motivo per cui si è spesso parlato di un tenore “didattico” di queste opere, cadendo in quello che Holert spiega in modo convincente essere un malinteso. La natura intimamente sperimentale, aperta, di questi studi – che andrebbero meglio definiti come “saggi”, essays – ne disdice ogni dimensione verticale, come lo è quella didattica; a tal proposito, Holert propone la nozione di “demonstrativeness”, ovvero il carattere dimostrativo che fa di questi saggi sperimentali degli esercizi sulla grammatica del linguaggio filmico e video. A ciò va sicuramente aggiunta la straordinaria essenzialità e pregnanza di questi “esercizi”, che non errano mai nella ridondanza o nell’inefficacia. Per la loro immediatezza queste opere arrivano a chiunque e vi lasciano un’impressione indelebile.

In questo Richard Serra condivideva certamente lo spirito che accumunava i filmers – per usare un’espressione cara a Jonas Mekas – riuniti attorno agli Anthology Film Archives fondati dallo stesso Mekas. Serra è stato certamente uno degli attori più seri e prolifici in questo circolo di sperimentatori, di cui va richiamata l’importanza di una «nuova competenza visiva» fatta di teoria ma soprattutto di prassi. Mekas la difendeva sulla base dei pilastri della «passione» per le immagini in movimento e della fedeltà alla dimensione irriducibilmente «processuale» dell’attività del filmare – come ancora Holert rileva nel suo saggio, sottolineando l’importante mediazione critica di Annette Michelson nei primissimi anni Settanta.

Tra i lavori di Serra si riconosce un esplicito impegno politico, che si può constatare facilmente nelle opere video presentate al piano inferiore del museo. Ma questa menzione vuole essere qui solo l’occasione per mettere in guardia da ogni forma di distinzione netta tra lavori più formali, concentrati come detto sulle funzioni e potenzialità del medium filmico (proiettivo o video), e lavori politici. È infatti importante mettere in rilievo come la riflessione sul medium, sulla grammatica dell’immagine in movimento e dei suoi strumenti, ha una valenza liberatoria e sperimentale che si trova in perfetta continuità coi valori critici, ampiamente libertari, riscontrabili nei contenuti dei video a tenore esplicitamente politico. Basti pensare al tema del fordismo, che dalla riconsiderazione delle valenze della sonorità industriale fino all’autocritica dei mezzi di comunicazione costituisce un filo rosso trasversale, formale e politico insieme, nelle opere di Richard Serra. I riferimenti ricorrenti alla manualità – quasi un’ossessione nella pratica artistica di Serra – e ai materiali “industriali” come il ferro e l’acciaio non rivelano un atteggiamento nostalgico, né negli anni Settanta né oggi, ma un richiamo affatto attuale alla contiguità tra la grammatica dell’arte e la struttura dei processi di produzione. In un’epoca dove i miraggi informatici dell’alta tecnologia e la burocratizzazione della società e dei suoi fondamenti giuridici ci allontanano dalla consapevolezza degli elementi strutturali che comunque sostengono e influenzano le nostre vite, questo richiamo alla materia dei processi di produzione ha una valenza politica tanto urgente quanto nuovamente liberatoria.

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Richard Serra | Films and Videotapes | Exhibition | Kunstmuseum Basel, Gegenwart | 20/5-15/10/2017

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First published: September 19, 2017