Martina Parenti & Massimo D'Anolfi | Spira mirabilis

[…] L’esperienza del tempo che facciamo in «Spira mirabilis» è uno degli aspetti più preziosi di questo film, il quale vuole far coincidere la forma infinita e irraggiungibile del suo tema, l’immortalità, con la forma della sua struttura filmica: il lento comporsi di un’armonia forse impossibile a partire da un disorientamento fatto di sole immagini e suoni.

[…] Quando la finalità ultima è collocata all’infinito, conta meno la forma compiuta quanto piuttosto il processo: i due autori milanesi sembrano aver pienamente metabolizzato questa lezione del gotico, in cui il lavoro umile e spesso invisibile del singolo artigiano conta almeno quanto il disegno dell’architetto.

Text: Giuseppe Di Salvatore | Audio/Video: Ruth Baettig

Spira mirabilis è un film innanzitutto da guardare. Perché almeno all’inizio fa del disorientamento narrativo la sua cifra, mentre sa catturarci subito con delle immagini potenti, frutto di una composizione fotografica “mirabile”. L’ammirazione, in questo film, passa inizialmente per la pura vista, ma anche per l’udito, dal momento che la pista sonora è ugualmente potente, per quanto meno piacevole di quella visiva: qui, più del mirabilis pare essere pertinente il tremens. Così, Martina Parenti e Massimo D’Anolfi ci invitano ad abbandonarci in un viaggio sensoriale, togliendoci gli appigli del senso e immergendoci in un’apnea narrativa. Certo, riconosciamo presto quattro o cinque scenari, ma che non oseremo ancora chiamare storie, in quanto sembrano presentati in ordine sparso.

Poi, lentamente, cominciano a prendere forma delle storie, o almeno una processualità interna a ciascuno scenario: un ricercatore giapponese che studia delle piccole meduse, due costruttori di uno strumento a percussione, una comunità indiana che si raccoglie attorno ad una commemorazione, la manutenzione e il restauro del Duomo di Milano, e infine Marina Vlady che legge un testo sull’immortalità. Ecco, nel tempo dilatato di Spira mirabilis l’immortalità si impone come la chiave di lettura che ci permette di cominciare a legare le altre quattro storie. E solo verso la fine del film i fili si annoderanno in modo definitivo attorno al motivo dell’immortalità, che riconosciamo retrospettivamente costituire un punto di fuga attorno al quale si sono organizzate le quattro prospettive convergenti accompagnate dalla pista testuale-vocale di uno scritto di Jorge Luis Borges, L’immortale, tratto dall’Aleph. Nell’acqua giapponese la medusa studiata è la Turritopsis dohrnii, che Shin Kubota è il solo ad esser riuscito a coltivare in cattività, dimostrando così la sua capacità di completa rigenerazione cellulare, quindi la sua potenziale immortalità; nell’aria risuona infine lo hang, uno strumento inventato da Felix Rohner e Sabina Schärer, a Berna, la cui risonanza sembra mobilitare l’intero cosmo; dalla terra e dalle sue pietre nascono e rinascono le componenti di questa “montagna gotica” che troneggia al centro di Milano, nella sua infinita rigenerazione che continua ad animare il suo anelito verso l’alto; resistenti come il fuoco di una fiamma imperitura sono le tradizioni dei Sioux, che attraverso la commemorazione del massacro di Wounded Knee non cessano di rivendicare la loro esistenza e i loro diritti. Attraverso questa comune e umana tensione verso un’irraggiungibile immortalità, i quattro elementi della natura sono riuniti in un percorso cinematografico che mette in scena un lento avvicinamento al senso e alla narrazione.

L’esperienza del tempo che facciamo in Spira mirabilis è uno degli aspetti più preziosi di questo film, il quale vuole far coincidere la forma infinita e irraggiungibile del suo tema, l’immortalità, con la forma della sua struttura filmica: il lento comporsi di un’armonia forse impossibile a partire da un disorientamento fatto di sole immagini e suoni. Basterebbe quest’ultima sottolineatura – sull’importanza dell’esperienza del tempo e della non ovvietà del senso e della narrazione – per farci comprendere il valore puramente cinematografico di Spira mirabilis, dove l’esperienza nel film (l’esperienza che facciamo durante l’immersione nel film) non si distingue dall’esperienza del film (l’esperienza che facciamo del film come opera cinematografica): forma e contenuto sono destinati a contagiarsi e il tema del film informa la sua struttura.

Ma c’è almeno un altro aspetto fondamentale di questo film che va sottolineato: la sua capacità di mobilitare un’estetica, o persino una concezione, che richiama elementi premoderni e insieme contemporanei. Almeno due riferimenti emergono con forza: quello gotico e quello barocco. Quanto al primo, il Duomo di Milano diventa in Spira mirabilis anche la figura di una modalità di lavoro, quella di Parenti e D’Anolfi, che è interamente concentrata sul processo di lavorazione. Quando la finalità ultima è collocata all’infinito, conta meno la forma compiuta quanto piuttosto il processo: i due autori milanesi sembrano aver pienamente metabolizzato questa lezione del gotico, in cui il lavoro umile e spesso invisibile del singolo artigiano conta almeno quanto il disegno dell’architetto. Così, enorme spazio è dedicato ai processi lavorativi che occupano i personaggi del film, processi nei quali si confonde lo stesso processo artistico e artigianale con cui il film è prodotto. Infatti, in Spira mirabilis colpisce proprio l’attenzione data alla dimensione materiale, materica dunque sensoriale, dei processi di lavoro che incarnano l’anelito verso l’immortalità. La materia vive allora una trasfigurazione che la mette in contatto con l’immateriale, dal momento che i compiti a cui la materia deve assolvere travalicano i confini di ciò che è accessibile ai singoli uomini.

Questa palpabile tensione tra materia e infinito ci introduce all’elemento specificamente barocco di Spira mirabilis. Certamente non intendo il barocco dello sfarzo e dell’illusione, ma l’essenza postrinascimentale del barocco come harmonia mundi, armonia tra finito ed infinito, la quale è mirabilmente esemplificata dalle figure dell’ellisse e, appunto, della spirale. Se il cerchio è il simbolo rinascimentale di una perfezione matematica che non dialoga con le sfide della fisica, l’ellisse delle orbite kepleriane è metafora e realtà di una perfezione che si deforma per rispondere e accogliere le esigenze della nuova fisica sperimentale: l’ellisse è la sintesi cosmica di infinito e finito, è perfezione dinamica. Ora, il piano urbanistico della Roma protobarocca precisato da Domenico Fontana sotto Sisto V ha incarnato ugualmente questo ideale della perfezione dinamica introducendo dei punti di fuga “infiniti”, segnalati dagli obelischi puntati al cielo, attorno ai quali organizzare gli assi urbanistici. Il recinto finito della città, così, si “apriva” verso l’alto e verso l’esterno, verso orizzonti infiniti: di qui nasce la figura della spirale, magnificata appunto a Roma da Lorenzo Bernini, come tensione verso il cerchio, perfezione irraggiungibile. Si passa allora dalla figura dell’infinito a quella dell’approssimazione infinita. Potremmo dire, in sintesi estrema ed approssimativa, che se l’ellisse barocca dinamizza la perfezione accogliendo il finito nell’infinito, la spirale barocca rende la dinamica perfettibile accogliendo l’infinito nel finito. Questo breve excursus storico serva solo da richiamo utile per cogliere la profondità premoderna e quindi contemporanea della figura della spirale, vero cuore pulsante di Spira mirabilis, come motivo tematico, strutturale ed esperienziale del film.

È curioso notare come anche nelle sedi più culturalmente impegnate questo splendido film sia stato ricevuto con difficoltà. In particolare, è curioso che l’esperienza dell’iniziale naufragio del senso e della narrazione sia additato come difetto invece che come virtù. Diciamolo chiaramente: senza quel felice naufragio – di cui peraltro il cinema dovrebbe essere sempre foriero – non sarebbero possibili l’esperienza del tempo, la concentrazione sulla processualità e la mirabile riflessione sulla spirale come sintesi di finito e infinito, di finitezza umana e umano anelito verso l’immortalità.

Info

Spira mirabilis | Film | Martina Parenti, Massimo D’Anolfi | IT-CH 2016 | 121’ | Solothurner Filmtage, Kino Rex Bern, Cinémathèque suisse Lausanne

More Info

First published: April 18, 2017