Santiago, Italia

[…] Come dichiara Moretti a un militare reticente nell'esprimersi di fronte alla telecamera, il punto di vista del film sui fatti non è imparziale e non può esserlo, perché le parole di autodifesa del militare, che ora sta scontando la pena in un carcere cileno, sono una voce isolata nel coro di testimonianze gravi, personali, inequivocabili dei sostenitori di Allende, peraltro plurali per estrazione sociale e per credo politico.

[…] La seconda dimensione che contraddistingue il documentario per onestà di intenti e originalità di approccio è l'aver intrecciato la storia del Cile con quella dell'Italia. L'opera di soccorso svolta disinteressatamente dall'Ambasciata italiana e l'accoglienza del Paese nei confronti dei rifugiati, presto inseriti in nuove realtà lavorative e sociali – senza discriminazioni – getta così nuova luce su un periodo non troppo remoto della storia d'Italia, di cui forse si è persa memoria.

Si è abituati ad associare i film di Nanni Moretti a pellicole delle quali il regista è anche interprete (si pensi a Palombella rossa, Caro diario, La stanza del figlio, per citarne alcuni), mentre in Santiago, Italia, il suo ultimo documentario, il regista è presente solo come voce, quella che intervista: è un punto di osservazione esterno e privilegiato, come lo è quello del pubblico, su un periodo storico e su vicende politiche per lo più conosciute (l'insediarsi della dittatura militare di Pinochet nel 1973) ma dai risvolti meno noti, come l'importante ruolo svolto allora dall'Ambasciata italiana.

Innanzitutto quest'opera è un vero “documento”, cronologicamente suddiviso in quattro parti: i tre anni di governo di Salvador Allende (1971-1973), con le importanti riforme tese ad abbattere le ingiustizie sociali e a far uscire il Paese dal sottosviluppo; l'assurdo colpo di Stato (1973-1976) pilotato dalla CIA, con il Palazzo del governo, la Moneda, assurdamente bombardato dai militari che avrebbero dovuto invece difenderlo; la posizione dell'Ambasciata italiana, la più solerte tra le altre (insieme a quella di Svezia) nel soccorrere al suo interno centinaia di rifugiati; e infine la fuga di molti di loro in vari Paesi, tra i quali l'Italia. Giusto distacco, precisione di dati, essenzialità di forma ne caratterizzano la linea narrativa. Così agli aneddoti dei vari intervistati si alternano immagini d'archivio che mostrano le reali condizioni del Paese prima della presidenza di Allende, il supporto di Neruda e i discorsi toccanti del presidente, il boicottaggio dei beni necessari venduti al mercato nero, i detenuti nello stadio di Santiago, i letti di tortura dei militari.

Il film però è anche un commovente ricordo di un sogno comune che si è infranto: quello di Allende e di una buona parte del popolo cileno di poter creare una società egualitaria. Ed è attraverso il racconto di cileni di diversa provenienza, ritenuti pericolosi dall'allora dittatore Pinochet: musicisti, registi, artigiani, operai, giornalisti, imprenditori, avvocati, diplomatici, traduttori, che si compone un lavoro di rievocazione collettiva vincitore del Nastro d'argento 2019. Ciascuno di loro ricorda un avvenimento legato a questo periodo: dall'euforia degli anni di operato di Allende – un uomo che anche nei brevi filmati dell'epoca appare posato, distinto, serio, di grandi vedute – allo sbalordimento e allo sgomento del giorno del golpe; dalla detenzione nello stadio di Santiago, tra maltrattamenti e attesa, fino alla fuga oltre il muro dell'ambasciata italiana. In questa addirittura 250 persone di ogni età, stipate e distribuite nei cinque piani dell'edificio, sono state accolte e protette per diversi mesi. Poi l'assassinio di Lumi, militante dell'estrema sinistra cilena, gettata nel giardino dell'Ambasciata, impone ai rifugiati la fuga in un altro Paese, che per molti diviene nel tempo una seconda Patria.

Come dichiara Moretti a un militare reticente nell'esprimersi di fronte alla telecamera (ed è l'unico momento in cui anche il regista entra nello schermo in dialogo con l'intervistato), il punto di vista del film sui fatti non è imparziale e non può esserlo, perché le parole di autodifesa del militare, che ora sta scontando la pena in un carcere cileno, sono una voce isolata nel coro di testimonianze gravi, personali, inequivocabili dei sostenitori di Allende, peraltro plurali per estrazione sociale e per credo politico (il suo governo era multipartitico e non totalitario). Il film dunque si rivela onesto e originale in due dimensioni. Innanzitutto perché riesce a commuovere non tanto di fronte all'orrore delle torture e al dolore della morte, ma soprattutto di fronte alla grandiosa opera di un uomo che non solo ha guadagnato la sua vita con il lavoro, ma lo ha fatto per tante persone – come dichiara un imprenditore intervistato. E lo spettatore si commuove di nuovo, insieme al traduttore ateo Rodrigo Vergara, nel rievocare l'umanità di un cardinale cileno, uno dei pochi che, nei mesi bui di paura e persecuzione, offriva aiuto e protezione ai rifugiati, rivelando una grandissima generosità e statura morale, a prescindere da qualsiasi credo.

La seconda dimensione che contraddistingue il documentario per onestà di intenti e originalità di approccio è l'aver intrecciato la storia del Cile con quella dell'Italia. L'opera di soccorso svolta disinteressatamente dall'Ambasciata italiana e l'accoglienza del Paese nei confronti dei rifugiati, presto inseriti in nuove realtà lavorative e sociali – senza discriminazioni – getta così nuova luce su un periodo non troppo remoto della storia d'Italia, di cui forse si è persa memoria. Come dichiarano alcuni cileni, l'Italia di quegli anni era magnifica, era un Paese ricco di fermenti, di idee, era uscito dalla guerra da non troppi anni, quindi non era dimentico degli anni della Resistenza, e aveva un atteggiamento solidale, altruista, sensibile alle sofferenze del popolo cileno. Lo spettatore riceve così l'immagine di un'Italia che non somiglia a quella di oggi, di un animo caloroso che è stato rimpiazzato da individualismo e materialismo, e da ciò nasce una grande malinconia per l'inevitabile confronto tra passato e presente, tra la capacità di credere in alcuni ideali e di sognare un mondo nuovo e il consumismo ora imperante.

Ma il documentario non vuole ispirare solo commiserazione e tristezza per quello che in Cile si sarebbe potuto realizzare o per quello che l'Italia non vuole più essere, bensì intende svegliare le nuove generazioni dal torpore morale e, indirettamente, stimolare una riflessione che porti a credere in ideali più nobili, che infonda speranza nel cambiamento. Santiago, Italia in fondo fa eco alle parole dell'ultimo discorso pronunciato da Allende: «Più prima che poi si apriranno di nuovo i grandi viali per i quali passerà l'uomo libero, per costruire una società migliore».

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Santiago, Italia | Film | Nanni Moretti | IT-FR-CHL 2019 | 80’

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First published: May 26, 2019