Van Gogh - At Eternity's Gate
Text: Giuseppe Di Salvatore
Come approcciare un artista ormai divenuto un’icona culturale e a cui si è voluto far incarnare il cliché romantico del genio incompreso? Vincent Van Gogh è stato certamente un artista pioniere, e certamente fu incompreso dalla maggioranza dei suoi contemporanei (pur con qualche eccellente e significativa eccezione); ma è anche un artista che ha prodotto un’opera intelligente e meditata – in parte “concettuale”, si direbbe con i codici odierni. Julian Schnabel sceglie di evitare la rappresentazione e l’agiografia per tentare di “entrare” nella visione stessa di Van Gogh, assumendo pertanto una prospettiva interessante e inusuale. Una prospettiva che si esprime particolarmente attraverso una camera agitata, non sempre a fuoco, che permette allo spettatore di fare un’esperienza visiva sicuramente intrigante. È però discutibile l’assunto che l’artista fiammingo non abbia fatto altro che dipingere quello che poteva vedere dal suo punto di vista psicotico e alterato. Peraltro, se effettivamente questa fosse l’intenzione, risulta curioso di non trovare nel film una netta distinzione tra il posizionamento della camera dal punto di vista di Van Gogh e da quello che invece permette di osservarlo.
Sulla difficile questione di comprendere la percezione di Van Gogh verrebbero in soccorso gli elementi biografici e soprattutto le riflessioni dello stesso artista, attraverso un ricco apparato testuale che struttura il film. Se non fosse che, dai titoli di coda, non è affatto chiaro se le dichiarazioni filosofiche ed estetiche snocciolate durante il film siano il risultato di un lavoro filologico o il frutto di arbitraria rielaborazione. Questo livello testuale e teorico di At Eternity’s Gate sembra voler far guadagnare al film un respiro poetico e universale, ma di fatto non riesce a emanciparsi da un certo didatticismo. E abbiamo questo effetto anche a causa del contrasto tra la voce off sentenziosa e l’eccellente performance, completamente naturalista, realizzata da uno splendido cast (a cui si aggiunge un’attenta ricostruzione storico-ambientale). La linea narrativa biografica, che si impone sempre di più, è un altro elemento che ci allontana dai toni poetici e soggettivi delle riflessioni estetiche. E i riferimenti alle più famose opere di Van Gogh sono non solo sostanzialmente aneddotici ma anche talmente espliciti da rafforzare l’effetto di didatticismo. Dietro le apparenze di un approccio esperienziale se non addirittura sperimentale all’artista fiammingo, Schnabel ci consegna un film fondamentalmente illustrativo, aneddotico, didascalico, in fin dei conti scolastico.
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