The Chronicles of Melanie
Text: Davide Abbatescianni
Viesturs Kairišs, apprezzato regista in campo operistico, cinematografico e teatrale, sceglie di aprire il film con l’esibizione di una cantante lirica che intona “Un bel dì vedremo” durante una rappresentazione di Madama Butterfly presso il Teatro dell’Opera di Riga, improvvisamente interrotta dal rumore di una porta sfondata. È il 1941 e un manipolo di soldati sovietici arresta Melānija Vanaga, suo figlio e suo marito Aleksander, un importante capo-redattore. L’inizio della pellicola non è certamente frutto di scelte casuali: l’aria presenta forti connessioni tematiche con l’odissea narrativa esperita da Melānija ed alla prima scena ambientata nel teatro, dai contorni onirici, segue un brusco risveglio: la famiglia di notabili lettoni, sospetta di «collaborare con il nemico», viene subito divisa (da una parte il padre; dall’altra, madre e figlio), deportata e condannata ai lavori forzati.
The Chronicles of Melanie presenta diverse affinità con il film estone In the Crosswind di Martti Helde (2014), ma adotta un linguaggio meno sperimentale e decisamente più crudo e verosimigliante nel raccontare le tragiche deportazioni di massa del Baltico. Il viaggio iniziale in treno bestiame, lungo ben tre settimane, è già ricco di angoscia ed incertezza: in questa sequenza, in particolare, si segnalano il suicidio per sgozzamento di una donna e dei suoi tre figli, in preda alla disperazione, ed il suono prodotto dallo stridio delle ruote sui vagoni unito al forte ronzio degli insetti, il quale svolge la funzione di chiaro presagio di morte.
La fotografia, qui interamente in bianco e nero e firmata da Gints Bērziņš, ha il compito di rappresentare un passato ormai lontano e di moderare, almeno in parte, la violenza del film. Inoltre, valorizza sapientemente l’espressività dei volti degli interpreti, su tutti quello di Melānija (Sabine Timoteo), ripetutamente segnato dalle sofferenze e caratterizzato da uno sguardo fortemente eloquente. La recitazione, nel complesso asciutta e credibile, offre i suoi momenti più preziosi nei silenzi e nelle pause: a titolo d’esempio, si possono citare la visione del marito da parte di Melānija nella foresta innevata e i suoi attimi di commozione nel ricevere una lettera dal figlio dopo molti anni di separazione, mentre giace in un letto d’ospedale. In una delle ultime scene, ritornano le note dell’aria iniziale e notiamo Melānija visibilmente affranta nello scoprire della morte del marito, con il quale cerca un ultimo contatto toccando, fede al dito, le impronte digitali riportate sul documento che ne attesta la scomparsa, avvenuta molti anni prima. Ciononostante, il finale regalerà un inaspettato barlume di speranza.
The Chronicles of Melanie è una toccante storia di coraggio e resilienza e si inserisce nel più ampio quadro di narrazioni del secondo conflitto mondiale del cinema baltico, con le quali condivide molti dei suoi tropi e parte delle sue scelte estetiche. Le vicende di Melānija si dipanano nel corso di sedici anni e sono state rese note solo nel 1991, a seguito della pubblicazione delle sue memorie e del raggiungimento dell’indipendenza lettone.