Le quattro volte
Text: Giuseppe Di Salvatore
Il carbone scalda l’uomo, che pascola le capre, che si riparano sotto gli alberi, che fanno il carbone. Il film è del 2010, ma allo stesso tempo è senza tempo, perché ci immerge nel ciclo della vita procurandoci un’esperienza ormai rara, ma pur sempre vera, almeno quanto lo è la nostra carne. Le quattro volte – in cui nascere e morire: umani, animali, vegetali, minerali – è anche uno studio etnografico su di un equilibrio arcano tra uomo e natura, come lo si può ancora (per quanto?) scoprire in un paesino calabrese nel massiccio del Pollino. Ma al tenore chiaramente documentario si sovrappone un discorso tutto cinematografico, che esalta la telecamera, il racconto visivo, fino a farci riscoprire i suoni del paesaggio – con un attento lavoro di sound design. Nella lentezza ipnotica dei cicli naturali pure si sviluppano delle linee drammaturgiche. Per quattro volte, appunto: gli ultimi giorni di un anziano pastore, i primi giorni di un capretto bianco, gli ultimi giorni di un pino maestoso, i primi giorni del carbone appena creato. Quattro storie individuali intervallate da momenti corali, ovvero cerimonie religiose e pagane: il tutto come fosse completamente astratto dai nostri tempi. Per questo si potrebbe criticare il film di ricercare anacronisticamente la poesia di un tempo inesistente. No, ai miei occhi è solo lo sforzo rigoroso di avvicinarsi all’essenza naturale dell’uomo, al tempo della natura stessa. In questo il film di Michelangelo Frammartino è pienamente riuscito: un’esperienza unica che solo il grande schermo può rendere così efficace.
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