La prodigiosa trasformazione della classe operaia in stranieri

[…] Si ha l’impressione che per ogni persona intervistata e interpellata ci sia il potenziale per un documentario a sé, per un racconto in profondità. Samir ha scelto però uno stile di racconto polifonico, ideale per raccontare la storia collettiva al centro degli interessi del film.

Text: Mattia Lento

A partire dagli anni Sessanta la classe operaia in Svizzera ha cambiato pelle. In primis dall’Italia, ma anche dalla Spagna, dal Portogallo, dai Balcani e dalla Turchia – soltanto per citare alcuni dei principali Paesi di partenza della manodopera immigrata in Svizzera – sono arrivati centinaia di migliaia di lavoratori e lavoratrici che hanno segnato la storia della Confederazione. Si è trattato di un processo drammatico, che ha lasciato profonde ferite nella popolazione straniera e trasformato irreversibilmente l’economia, la società, la cultura. Ne La prodigiosa trasformazione della classe operaia in stranieri, il regista Samir si mette in gioco in prima persona e attraverso la ricostruzione – con le tecniche innovative per un documentario del motion capture e del videogioco (su cui si rimanda all’intervista con Samir sul making-of del film) – della sua esperienza di migrazione da Bagdad a Zurigo, ci riporta a un’epoca storica in cui lotta di classe e lotta per i diritti umani erano strettamente connesse.

Samir si concentra in particolare sulla parabola della comunità italiana in Svizzera, sulle profonde discriminazioni che ha vissuto, ma anche sulla sua capacità di resistere e di costruire strutture associative e di mutuo soccorso in parte ancora esistenti. La diaspora che interessa a lui è quella che ha saputo restare in piedi anche nei momenti in cui soffiavano i venti della xenofobia e dello sfruttamento selvaggio. Stiamo parlando in particolare di quei migranti che si riconoscevano nel Partito comunista italiano, fortissimo all’epoca in Svizzera, nonostante la difficoltà di operare in un contesto maccartista dove le organizzazioni comuniste erano persino vietate o comunque tenute sotto uno stretto controllo poliziesco. Una sorveglianza dagli esiti spesso drammatici: le espulsioni di militanti dal Paese erano all’ordine del giorno.

La rosa di protagonisti, dei e delle testimoni d’epoca, è straordinaria, sia dal punto di vista quantitativo, sia da quello qualitativo. Si ha l’impressione che per ogni persona intervistata e interpellata ci sia il potenziale per un documentario a sé, per un racconto in profondità. Samir ha scelto però uno stile di racconto polifonico, ideale per raccontare la storia collettiva al centro degli interessi del film. Il racconto in profondità è quello autobiografico. Figlio di un ingegnere iracheno e di una cittadina svizzera – che ha perso il passaporto a causa del matrimonio con uno straniero – con il suo arrivo a Zurigo Samir è incasellato nell’unico ruolo allora possibile per una persona senza passaporto: quello dello straniero, destinato a lavori di fatica o, in caso di crisi economica, a disoccupazione e precarietà. La scelta di raccontare a fondo le proprie vicende personali non è dettata da egocentrismo, ma serve a far capire come spesso la storia del singolo s’intrecci con la Storia maiuscola, con quella dei grandi movimenti sociali. Samir, lo ha detto più di una volta in pubblico, con l’esperienza di migrazione in Svizzera è stato trasformato in un Tschingg, è diventato italiano, un Gastarbeiter mal tollerato e con pochi diritti. Una posizione subalterna in cui però è riuscito a tessere relazioni, a creare legami di solidarietà e, crediamo, anche a diventare una delle voci autoriali più interessanti del cinema svizzero contemporaneo. Una voce autoriale, per citare Hamid Naficy, con l’accento.

Già a partire da uno dei suoi primi successi, Filou (1988), l’interesse per la diaspora italiana in Svizzera emergeva tra le righe: quest’opera sperimentale è ambientata nella Little Italy di Zurigo, allora in piena trasformazione, il protagonista è un italiano di seconda generazione e, non da ultimo, rende omaggio a uno dei primi film in cui la presenza italiana è al centro della narrazione, ovvero Bäckerei Zürrer (1957). Anche ne La prodigiosa trasformazione della classe operaia in stranieri, titolo che ricorda i titoli monstre dei capolavori di Lina Wertmüller, gli omaggi e le citazioni del cinema svizzero di migrazione sono molti: a fronte di una rappresentazione mediatica connotata da razzismo o, nel migliore dei casi, da paternalismo, il cinema svizzero, a partire dal 1964, ovvero dalla sua svolta modernista, sposa con frequenza la causa del movimento dei lavoratori migranti. Ancora oggi è una delle fonti più interessanti per ricostruire la parabola di un Paese diviso tra modernità e tradizione, un Paese incapace di aprirsi davvero all’altro.

Il documentario di Samir s’inserisce in questa tradizione di cinema impegnato e cerca di fare da ponte con la situazione odierna, ovvero con le tensioni xenofobe della contemporaneità, non solo in Svizzera. Riesce pienamente nel suo intento anche se, crediamo, avrebbe potuto o potrebbe osare di più in termini di formato. La materia è trattata con enorme competenza e profondità, ma fatica a stare nelle oltre due ore e un quarto di film. Il soggetto avrebbe meritato o meriterebbe, a fianco della versione cinematografica, una narrazione di tipo seriale, con episodi forse più brevi rispetto all’attuale da destinare soprattutto alla visione su piattaforma, e una narrazione relativa ai temi della contemporaneità meno condensata rispetto all’attuale. Un’opzione che, ne siamo consapevoli, necessita però anche di un mercato pronto a scommettere su un cinema di qualità, politico e impegnato, come quello di Samir.        

Watch

Screenings in Swiss cinema theatres

Info

La prodigiosa trasformazione della classe operaia in stranieri – Die wundersame Verwandlung der Arbeiterklasse in Ausländer | Film | Samir | CH 2024 | 130’ | Locarno Film Festival 2024 | CH-Distribution: Dschoint Ventschr

More Info

First published: September 09, 2024