La belle époque

[…] Ma il cuore del film non sta nella diatriba tra virtuale e reale, tra modernità e tradizione, piuttosto nell'idea che di fronte ai problemi la soluzione non è mai la scelta a portata di un clic, la meno faticosa, ma è invece nascosta nella capacità di far lavorare l'immaginazione, di sviluppare la nostra fantasia, di seguire un sogno attraverso un percorso interiore.

[…] Se Victor e Antoine costituiscono, con le loro scelte di vita (il primo mentore del secondo), un modello di resilienza e inventiva di fronte alle difficoltà dell'esistenza, Marianne con la sua straordinaria evoluzione nel corso del film, testimonia con urgenza le idee del regista sulla relazione di coppia e sull'amore.

Il protagonista dell'originale commedia drammatica – o dramma comico – di Nicolas Bedos è Victor (il versatile Daniel Auteuil), un fumettista sessantenne ormai ripiegato su di sé, depresso, riluttante verso la modernità tecnologica che invece assorbe i suoi cari, come la moglie Marianne (la magnetica Fanny Ardant), che gestisce con un algoritmo un sito di consulenza psichiatrica con tremila iscritti, o il figlio Maxime, che crea una serie televisiva di successo per una piattaforma internet. Innervosito dalle auto Tesla, che si muovono fluidamente, accompagnate da una voce registrata o dagli occhiali 3D, inforcati dalla moglie per contemplare spiagge esotiche prima di addormentarsi, Victor preferisce piuttosto un libro da leggere o la matita per realizzare vignette satiriche. Appare agli occhi degli altri come fermo nel tempo, mentre è l'unico personaggio che sa affrontare la sua crisi presente – il naufragio di 25 anni di matrimonio –, senza scappare in una realtà virtuale o in una soluzione impulsiva (la scelta di Marianne di tradirlo).

Ma il cuore del film non sta nella diatriba tra virtuale e reale, tra modernità e tradizione, piuttosto nell'idea che di fronte ai problemi la soluzione non è mai la scelta a portata di un clic, la meno faticosa, ma è invece nascosta nella capacità di far lavorare l'immaginazione, di sviluppare la nostra fantasia, di seguire un sogno attraverso un percorso interiore. Infatti Victor coglie l'opportunità di trascorrere una costosa settimana – un regalo del figlio Maxime – presso il set di una compagnia che ricostruisce epoche del passato a scelta del cliente. Così si trova a compiere un ritorno al passato per rivivere un momento felice della sua vita: il giorno in cui aveva incontrato la moglie, al Caffè Belle Epoque di Lione, nel maggio del 1974. Questa esperienza, presa inizialmente con leggerezza, lo porta a riflettere profondamente sulla storia d'amore della sua vita, sui suoi progetti, sulla sua identità, e quindi a comprendere meglio il presente, attraverso l'incontro con la giovane attrice Margot (la brillante Doria Tillier), scelta per impersonare Marianne da giovane.

Victor non corre in una soffitta ad aprire bauli carichi di oggetti preziosi o a spulciare scaffali polverosi dove dormono diapositive degli anni Settanta, perché c'è qualcuno, Antoine (un convincente Guillaume Canet) che fa questo per mestiere, che dirige scrupolosamente attori e costumisti per realizzare dei set impeccabilmente autentici dove l'interprete di Hemingway non può permettersi di bere un drink inverosimilmente analcolico, e anche le comparse devono conoscere perfettamente gusti e costumi della società che ricreano. Antoine, ex-adolescente introverso e sofferente, sul set delle sue messinscene teatrali diventa un regista esigente e versatile, attento non solo alla verosimiglianza scenica, ma soprattutto alla qualità dei dialoghi dei suoi attori principali, perché è attraverso questi che riesce a suscitare emozioni nei vari clienti: quelle emozioni e riflessioni che solo un grande scrittore, un drammaturgo o un autore cinematografico di rilievo sono in grado di provocare (sembra implicitamente suggerire il film). Un po' come Montag del Fahrenheit 451 di Ray Bradbury, Antoine (che venera il romanzo Martin Eden di Jack London) comunica la passione per le ricostruzioni storiche, per i dialoghi teatrali, per quanto di bello contengono i libri.

Il passato rivissuto dai personaggi nelle messinscene di Antoine va a sovrapporsi inevitabilmente al presente, che si insinua in quel mondo fittizio, con il suo carico di problemi irrisolti, con la dura verità di quello che poteva essere e non è stato e dalla loro interazione scaturisce un nuovo presente. «Recitare è un bel lavoro», dichiara la comparsa Pierre, che ogni sera, al Belle Epoque, riabbraccia suo padre, morto da anni, senza provare così il rimpianto di non averlo voluto incontrare per anni quando lui era vivo.

La nostalgia di Victor per un mondo perduto per sempre riesce a essere struggente in tanti momenti del film, accentuata da una scelta musicale notevole, con brani classici, canzoni degli anni Settanta e musiche originali composte dallo stesso Bedos e da Anne-Sophie Versnaeyen, che trasportano senza sosta lo spettatore in epoche diverse. Ma il regista non indulge nel sentimentalismo e sa divertire continuamente il pubblico con battute spiritose, colpi di scena, situazioni comiche e con lo sguardo realista di Marianne su un passato che non sempre è migliore del presente: «Negli anni '70 gli stupratori erano impuniti, l'aborto era difficile e si viveva in un grande posacenere: spegnete quelle sigarette!», dice lei, rivolgendosi ai clienti-attori del Belle Epoque del 1974.

Il mondo della finzione ha il potere di influenzare e modificare la realtà presente. Lo si vede durante il primo incontro fra Victor e Margot al Caffè, laddove l'intesa fra i due va oltre il gioco scenico e Antoine – che ha una relazione turbolenta con l'attrice – smette i panni di regista per intromettersi nel dialogo tra i due. Anche Marianne, stanca della relazione con l'amante François, si scopre gelosa di fronte ai ritratti di Victor che rappresentano Margot, da lui appena conosciuta. Questa fruttuosa interazione tra teatro e vita, tra passato e presente, sembra suggellata dalla splendida apparizione di Marianne al Belle Epoque: lei è una Margot ancora più seducente, più sicura di sé, più complessa, più saggia, quando Victor, ancora il suo principe azzurro, le riconsegna la sciarpa che le è scivolata, come aveva fatto con lei tanti anni prima, nello stesso locale.

Se Victor e Antoine costituiscono, con le loro scelte di vita (il primo mentore del secondo), un modello di resilienza e inventiva di fronte alle difficoltà dell'esistenza, Marianne con la sua straordinaria evoluzione nel corso del film, testimonia con urgenza le idee del regista sulla relazione di coppia e sull'amore. Infatti con il suo lieto fine il film è soprattutto una celebrazione del romanticismo e dell'amore eterno, quello che non finisce di fronte ai primi segni dell'invecchiamento, che accetta difetti e limiti del partner, che si nutre di comprensione, affetto e complicità, che va nutrito attraverso crisi, ripensamenti, cambiamenti di rotta. Un messaggio tanto più prezioso quanto più appare controcorrente rispetto al cinema mainstream, convogliato in un lungometraggio che per regia, dialoghi, recitazione, montaggio, colonna sonora, merita tutti gli otto minuti di ovazione riscossi a Cannes ad apertura del festival.

 

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La belle époque | Film | Nicolas Bedos | FR 2019 | 110’| Zurich Film Festival 2019

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First published: November 16, 2019