Hieronymus Bosch | 2 Films
[…] «Hieronymus Bosch - The Garden of Dreams», di Luis López Linares, è una produzione spagnola, mentre «Jheronimus Bosch - Touched by the Devil», di Pieter van Huystee, è una produzione olandese: si rinnova così una concorrenza che ha segnato per secoli la ricezione dell’opera di Bosch, nonché la rivendicazione territoriale delle sue opere
[…] Si ha l’impressione di assistere a una confusa fiera delle opinioni, dove ognuno dice un po’ quel che gli passa per la testa facendo associazioni libere e improvvisando un’attualizzazione dell’opera del tutto forzata e soggettiva.
[…] L’insistenza del regista sulle tergiversazioni diplomatiche e burocratiche di questa mediazione non annoiano lo spettatore, il quale invece vi scopre lo stretto e affascinante intreccio di storia dell’arte e del restauro, tecnica, tecnologia, cultura della conservazione, approccio alla storia, politica culturale e mentalità contemporanea.
Text: Giuseppe Di Salvatore
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L’anniversario dei cinquecento anni dalla morte di Hieronymus Bosch è l’occasione di una riscoperta dell’eccezionale artista olandese, che con il suo stile e le sue tematiche pittoriche ha affascinato e intrigato generazioni di spettatori. In questo autunno il distributore di Zurigo Xenix fa uscire nelle sale svizzere ben due documentari su di lui. Hieronymus Bosch - The Garden of Dreams, di Luis López Linares, è una produzione spagnola, mentre Jheronimus Bosch - Touched by the Devil, di Pieter van Huystee, è una produzione olandese: si rinnova così una concorrenza che ha segnato per secoli la ricezione dell’opera di Bosch, nonché la rivendicazione territoriale delle sue opere – una concorrenza, si noti bene, che costituiva il dato sociale e politico più rilevante già all’epoca in cui Bosch era vissuto.
Hieronymus Bosch - The Garden of Dreams fa una scelta specifica e intelligente: concentrarsi su una sola opera di Bosch, forse la più famosa, il trittico detto “del Giardino delle delizie”. Lo stile esplicito e descrittivo, quasi fumettistico, di Bosch si combina spesso alla presenza di raffigurazioni dal senso altamente criptico, che richiedono un lavoro di traduzione difficile anche per gli storici dell’arte che conoscono bene i riferimenti biblici e mitologici in voga all’epoca. Sicuramente anche nel suo tempo Bosch non è stato un artista convenzionale – prova ne sia uno dei pochi fatti accertati che lo riguardano: che non si è quasi mai allontanato dalla piccola cittadina di ‘s-Hertogenbosch. Ma la nostra naturale curiosità per l’artista e la sua opera non è veramente soddisfatta dal materiale documentario che ci fornisce López Linares.
Questo materiale è assemblato per creare un caleidoscopio di interventi di conoscitori e soprattutto ammiratori, per lo più nomi popolari del mondo dell’arte e della cultura. Alla folla di figure tormentate e gaudenti nel Giardino delle delizie reagisce così una folla eterogenea di intervistati attraverso la quale è impossibile seguire un argomento, un discorso, un’idea. Alcuni, come William Christie, Salman Rushdie, Cees Noteboom, Hano Wijsman, Xavier Salomon e Joaquin Diaz forniscono alcuni spunti interessanti, che sarebbero degni di approfondimento. Ma López Linares preferisce rimanere alla superficie e ribadire con i suoi protagonisti il semplice stupore e la fascinazione per il misterioso, il fantastico, il bizzarro. Si ha l’impressione di assistere a una confusa fiera delle opinioni, dove ognuno dice un po’ quel che gli passa per la testa facendo associazioni libere e improvvisando un’attualizzazione dell’opera del tutto forzata e soggettiva. A ciò si aggiungono alcune presenze imbarazzanti, per la nullità dei loro micro-interventi, in particolare quelle di Ludovico Einaudi, Ohran Pamuk, Michel Onfray e Renée Fleming. Un miscuglio assolutamente improbabile di musiche disparate condisce questo piatto ricco e alle fine indigesto.
Peccato, perché alcune questioni sollevate parevano appassionanti: l’ipotesi di uno stile che si forma a partire dalla pratica delle marginalia, le descrizioni/decorazioni in miniatura che comparivano a margine dei libri; oppure l’ipotesi di una funzione educativa del trittico, in cui i soggetti della pittura dovessero costituire la base per discussioni a carattere esegetico e morale; o ancora l’ipotesi di vedere nel Giardino delle delizie una rilettura della creazione, o anche un catalogo ragionato delle allegorie. Su tutte, la questione del realismo grottesco, già tematizzato nell’Italia quattrocentesca, e della sua riformulazione nel contesto di tematiche religiose “alte”, rappresenta una pista di indagine di grande valore per comprendere l’evoluzione di una cultura complessa, quella fiamminga dei primi del Cinquecento, in cui la devozione si combinava all’umanismo e al laicismo. Temi, questi sì, estremamente attuali…. Niente di tutto ciò, in Hieronymus Bosch - The Garden of Dreams, il quale ci lascia con l’eterno ritornello romanticheggiante tipico della ricezione popolare – per non dire ignorante – ovvero con l’ebete apologia dell’immaginazione, del sogno, persino del ritrovare se stessi come in uno specchio.
È ancora alla ricezione dell’opera di Bosch che è dedicato Jheronimus Bosch - Touched by the Devil, ma questa volta su tutt’altro registro. Pieter van Huystee non prende di mira un’opera in particolare dell’artista olandese, bensì un insieme particolare di opere: le opere che un comitato di esperti dei Paesi Bassi cerca di raccogliere per allestire una mostra commissionata dal museo “di casa”, a ‘s-Hertogenbosch, il paese natale di Bosch. È chiaro che questo lodevole compito si connota facilmente come gesto simbolico, nel senso di una “riappropriazione”, per quanto temporanea, delle opere del maestro olandese, le quali finalmente potrebbero “tornare a casa”. Ma il comitato di esperti, vero personaggio principale di questo documentario, incontra non tanto resistenze ideologiche quanto tutta una serie di ostacoli burocratici e politici che sollevano il velo sul mondo della conservazione museale e del “commercio” delle opere d’arte in termini di prestiti a fini espositivi. E, come a sancire un confronto/scontro di lunga data, le difficoltà sorgono proprio con i Paesi di cultura cattolica come la Spagna e l’Italia – soprattutto con quest’ultima.
Grande parte del documentario è consacrata alla discussione tra il comitato olandese e i responsabili del Prado a Madrid, vera potenza museale, che detiene una gran parte delle opere di Bosch e che allestisce, sempre quest’anno, un’altra grande mostra. L’insistenza del regista sulle tergiversazioni diplomatiche e burocratiche di questa mediazione non annoiano lo spettatore, il quale invece vi scopre lo stretto e affascinante intreccio di storia dell’arte e del restauro, tecnica, tecnologia, cultura della conservazione, approccio alla storia, politica culturale e mentalità contemporanea. In ciò emerge particolarmente la differenza tra uno spirito scientifico, analitico, pragmatico da parte degli olandesi e un’attenzione all’interpretazione soggettiva e alle questioni di principio da parte degli spagnoli. A questo proposito, van Huystee dipinge questa alternativa un po’ nei termini di Davide (il comitato) e Golia (il Prado), non senza far emergere i limiti degli eroi olandesi. Non tutte le transazioni vanno in porto, non ultimo per ragioni economiche, che impariamo a comprendere come l’espressione genuina dei valori e dei significati. Così Jheronimus Bosch - Touched by the Devil diventa la storia di un successo, la mostra, e di una serie di piccole sconfitte, tra le quali va sottolineato non tanto il non ottenimento di qualche opera, quanto la scena dello storico dell’arte che cerca di convincere il suo ministro della cultura dell’importanza di investire nella mostra su Bosch adducendo come argomento un «guardi, guardi come dipinge bene Bosch»!
Jheronimus Bosch - Touched by the Devil, malgrado il titolo incomprensibile, ma grazie anche a un commento musicale coerente e a un montaggio di qualità, sceglie la via forse più semplice: non affrontare di petto la difficoltà di interpretare l’opera di Hieronymus Bosch, parlando solo indirettamente della sua arte, attraverso la questione dell’allestimento di un’esposizione oggi. Ma in questo modo rimette al centro l’importanza del contesto di produzione artistica, calandolo immediatamente nell’attualità e facendo con l’indagine documentaria un’analisi particolarmente preziosa della realtà museale contemporanea e della sua vera posta in gioco politica e culturale.
Si sarà compresa la mia personale preferenza per il documentario olandese che, a distanza di cinquecento anni, sembra riconfigurare quello scarto di lucidità e serietà che contraddistingueva la cultura borghese e mercantile dei Paesi Bassi rispetto a quello che all’epoca era l’invasore straniero. Ad ogni modo, lasciando da parte speculazioni ingenerose, questi due documentari costituiscono un’efficacissima testimonianza di come la cultura sia oggi assediata dall’ignoranza, su cui fiorisce un commercio facile e dimentico del valore di complessità delle opere d’arte. Nelle letture puramente emotive delle opere, o nel mercimonio senza scrupoli a cui si riducono istituzioni museali dimenticate dalla politica e dalla collettività, così come nella concezione stessa di un film documentario, emerge costantemente lo spettro dell’ignoranza, contro la quale la forza esemplare di un’opera come quella di Hieronymus Bosch – possiamo averne la massima fiducia – saprà sempre scagliarsi, stimolando la curiosità e l’intelligenza.