Hanami

[…] È attraverso gli occhi della protagonista che lo spettatore osserva l'isola e i suoi abitanti, e simpatizza alla fine con il richiamo ai valori tradizionali, nonché con la scelta finale di Nana di restare sull’isola.

Hanami è il titolo e anche la chiave di lettura del film della giovane regista Denise Fernandes, nata da genitori capoverdiani e cresciuta a Locarno, dove nel 2020 ha presentato il suo corto Nha Mila. In questo suo primo lungometraggio affronta molteplici tematiche, alcune già presenti nelle sue brevi opere precedenti: la crescita di una bambina, il legame con le proprie radici, il rapporto tra madre e figlia, il dilemma di chi emigra, il recupero delle tradizioni. Il messaggio finale di quest'opera è un po' un invito ad apprezzare i luoghi d'origine, a non smettere di contemplare la natura, piegandosi ai suoi ritmi lenti invece che a quelli frenetici della modernità, rimanendo in armonia con l'universo. La scelta di lunghi piani-sequenza, mai ridondanti o compiaciuti (calibrata ed esteticamente suggestiva la fotografia di Alana Mejia Gonzalez), nei quali le figure umane sono piccoli elementi in un affascinante scenario naturale dominato ora dall'incessante sciabordio delle onde marine, ora dal profilo delle rocce vulcaniche, rende più forte l'assunto del film.

Come dichiara il personaggio giapponese Pluma, che appare brevemente nel film, in visita al vulcano attivo dell'isola di Fogo – a Capo Verde –, ogni anno i giapponesi si radunano per osservare un evento effimero e prezioso: l'hanami, la fugace caduta dei petali dei fiori di ciliegio. L'Oceano Atlantico è lontano dalle coste del Pacifico, eppure anche alle pendici del vulcano di Fogo c'è chi sceglie, come nel lontano Oriente, di guardare con meraviglia all'esistenza, senza seguire il tempo scandito dall'orologio, di tramandare alle nuove generazioni canti e leggende locali, di vivere sulle pendici grigie di un monte dalla forza primordiale ed imprevedibile, affidandosi solo al potere benefico di erbe rare, come fa la piccola protagonista Nana, arrivata lì dal villaggio per curare una febbre.

Pluma e l'uomo che vive in cima al vulcano non potrebbero essere più distanti tra loro per provenienza, cultura, lingua, eppure stringono un'amicizia, accomunati da un analogo sguardo sulla realtà; la piccola Nana invece vive a Fogo con la nonna, in assenza della mamma Nia, che l'ha abbandonata da piccolissima. Quando Nana ritrova, solo da adolescente, la mamma con cui dovrebbe avere un forte legame di sangue, il loro incontro sarà caratterizzato piuttosto da distanza, estraneità, incomunicabilità. Il loro difficile avvicinamento è mostrato attraverso la scelta di inquadrature che giocano con l'elemento della duplicità, della scissione, quasi ad accentuare l'ambivalenza dell'amore materno e filiale: infatti in una sequenza i due personaggi sono inquadrati di profilo, si osservano, ma il viso di Nana è separato da quello della madre, perché visibile solo nella cornice di uno specchio; più avanti l'inquadratura osserva Nana attraverso la vetrina della panetteria dove lavora, e nel vetro lo spettatore vede riflessa anche la sagoma in movimento di Nia, che attraversa la strada per entrare in negozio. Solo lo spettatore vede in anticipo Nia, mentre Nana incontrerà la madre qualche secondo più tardi, come a evidenziare la loro separazione.

Il personaggio di Nana compie un'importante evoluzione nel corso del film e, da bambina curiosa e sofferente, essa diventa gradualmente un'adolescente introspettiva e matura, che sa compiere le sue scelte con determinazione. Nia invece sembra sfuggire alle sue responsabilità e alla sofferenza, quando sceglie di allontanarsi per curare un suo male e di lavorare in un altro Paese. Con il progredire della storia si vede come Nana adolescente muti e debba cambiare gli abiti a lei diventati stretti; invece quando Nia riappare a Fogo, dopo anni, indossa a un certo punto lo stesso vestito giallo che portava quando è partita, posando per una fotografia con la figlia neonata in braccio. È un po' come se nel tempo Nia rimanga sempre la stessa persona dentro e fuori: una mamma fragile, impaurita, incapace di crescere.

Nel seguire lo sviluppo di Nana, la regista tratteggia la quotidianità semplice e poco conosciuta della vita sull'isola, con primissimi piani insoliti su oggetti e luoghi del posto: il contenitore di legno, piccolo tesoro degli oggetti cari a Nana bambina, nascosto nel pollaio; le tende e le lenzuola fiorate, stese ad asciugare nel cortile di casa, diafane e gonfie di vento come vele di una barca; i dolci e il pane serviti con estrema cura nella panetteria dello zio Manuel; la casa abbandonata a strapiombo sul mare, con le pareti rivestite di reti da pesca: luogo evocativo di un passato misterioso.

In un'isola dalla quale tanti partono per non ritornare mai, per tornare immutati (Nia), o addirittura dimentichi della propria lingua e del tutto assorbiti nella nuova cultura (lo zio Nelson e la sua famiglia), forse Nana è il solo personaggio che, senza spostarsi dal luogo natio, compie il viaggio più significativo perché, osservando profondamente tutti, compie un percorso dentro di sé. Infatti è attraverso i suoi occhi che lo spettatore osserva l'isola e i suoi abitanti, e simpatizza alla fine con il richiamo ai valori tradizionali, nonché con la scelta finale di Nana di restare sull’isola. Il pubblico diventa così partecipe dei pomeriggi spensierati dei bambini di Fogo che giocano a nascondino nei poveri cortili delle case, del loro aiutare in casa e dell'apprendere dagli anziani storie antiche, della musica e dei balli che accompagnano cerimonie e feste, dell'idillio amoroso innocente di Nana adolescente con un giovane che lascerà l'isola, dei lenti rituali per scacciare la febbre compiuti dalla donna che vive sul vulcano.

Hanami si apre e si conclude con sequenze apparentemente analoghe, che presentano due personaggi posti di fronte alla vastità dell'oceano: Nia, all'inizio del film; Nana, nell'epilogo del film. Ma mentre Nia osserva il mare dall'alto della casa abbandonata, percependone il lato minaccioso e mantenendosi a distanza, con una lacrima a rigare il suo viso turbato, Nana, dopo aver preso la decisione di restare a Capo Verde, va incontro all'oceano con sicurezza e bagna i piedi nelle sue acque: da quelle onde lei non si allontanerà, anche se spesso preferirà rimanere sola con i suoi pensieri piuttosto che mescolarsi ai giovani del posto.

Il film riesce ad alternare momenti contemplativi, soprattutto le sequenze nelle quali sono inquadrati due personaggi in dialogo tra loro sullo sfondo di una natura selvaggia, a momenti più dinamici, nei quali il montaggio (Selin Dettwiler) privilegia l'accostamento insolito di dettagli che svelano poco a poco una situazione, rendendo l'azione sempre avvincente (la preparazione di una barca per la pesca). Si tratta di un film prezioso, realizzato con rara sensibilità, con estrema cura dei dettagli, esteticamente riuscito e che denota una notevole maturità stilistica. Il premio appena ottenuto per la miglior regia emergente e la menzione speciale a Denise Fernandes sono più che meritati.

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Hanami | Film | Denise Fernandes | CH-PT-CPV 2024 | 96’ | Locarno Film Festival 2024 | CH-Distribution: cineworx

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First published: August 19, 2024