Flow

[...] Tutti presentano una qualità e un difetto che li contraddistinguono, imparando poco a poco che solo attraverso la cooperazione è possibile superare le grandi sfide di un mondo ostile.

Con un originale sincretismo, che evoca nello spettatore molteplici suggestioni culturali, dalla storia dell'Arca di Noè a quella di Gilgamesh, dalle leggende mesopotamiche a quelle islamiche, il regista lettone Gints Zilbalodis (già autore di Oasis, 2017 e di Away, 2019) presenta in questo suo terzo film di animazione (European Film Award e Golden Globe come miglior lungometraggio d'animazione) il viaggio di cinque insoliti naufraghi: un gatto, un capibara, un lemure, un labrador, un serpentario, che sappiamo provenire da habitat diversi del globo. Ricreando con l'animazione i loro movimenti e i loro versi in modo naturale, li mette a bordo di una malandata barca a vela, in una imprecisata epoca remota, nel mezzo di una vegetazione lussureggiante, dove a tratti spuntano rovine di esotiche civiltà immaginarie sommerse da un diluvio: torri orlate di scale che svettano come cipressi; città-fantasma dai palazzi ricchi di archi, finestre, decorazioni; sculture giganti di animali.

Ma mentre l'arca di Noè era stata escogitata perché un uomo salvasse esemplari di esseri viventi, due a due, dopo l'inondazione; qui invece il protagonista è un gatto, che si ritrova solo in uno scenario già post-apocalittico, più simile ai postumi di un disastro ecologico, dove dell'uomo, in realtà, non è rimasta quasi traccia. Così il felino, insieme ai pochi animali che salgono sulla barca (spesso dovendo abbandonare i loro simili, se poco inclini alla coabitazione), è del tutto privo di guida e cerca di tenersi letteralmente “a galla”, intraprendendo un viaggio avvincente, che presto si rivela un percorso di crescita interiore e di autoconsapevolezza dei suoi talenti e delle sue debolezze.

I cinque animali incarnano caratteristiche molto diverse: alcuni sono a loro agio nell'acqua (capibara, labrador), altri la evitano (gatto); alcuni sono animali domestici (labrador, gatto), altri sono a rischio di estinzione (serpentario, lemure); alcuni sono solitari (gatto), altri gregari (capibara, lemure, labrador), etc. Tutti però presentano una qualità e un difetto che li contraddistinguono, imparando poco a poco che solo attraverso la cooperazione è possibile superare le grandi sfide di un mondo ostile. Infatti ci sono vari momenti drammatici nei quali i protagonisti si salvano solo grazie all'aiuto reciproco: esemplare è proprio il finale, in cui grazie all'altruismo del gatto e del labrador il capibara si salva dal rischio di cadere in uno strapiombo e morire. Ed è solo quando ciascun personaggio assume un ruolo preciso in relazione agli altri che la barca comincia a “funzionare” come una piccola comunità, rendendo il viaggio meno pauroso: il gatto procura il cibo, il serpentario regge il timone, il capibara interviene con la forza, il lemure esplora e raccoglie oggetti – in realtà per se stesso, rappresentando la figura più egocentrica del gruppo, peraltro anche visivamente il più simile all’essere umano… È proprio il lemure a essere spesso occasione di riso e a rafforzare il senso di una comunità, che nel suo viaggio non manca di vivere momenti di gioco e di umorismo, utili a stemperare l'alta tensione del racconto.

Lo scenario suggestivo e ricco di dettagli realistici in cui lo spettatore viene immerso con un abile gioco di inquadrature che alternano continuamente soggettive e lunghi piani-sequenza dall'alto, è sottoposto a forze superiori imprevedibili riconducibili principalmente a tre dei quattro elementi primordiali: acqua, aria, terra. Il fuoco, non a caso l'unico elemento che richiede l'intervento dell'uomo, non appare mai in quest'universo fantastico. Le forze che sembrano lottare tra loro per il predominio sono soprattutto l'acqua, che tutto pervade, e la terra, che può irrompere all'improvviso in un mondo caratterizzato sempre dall'eccesso ora dell'una ora dell'altra, in un costante squilibrio che genera pericolo e allerta continua. Si tratta certamente di un modo per ricordare allo spettatore come il nostro ecosistema versi in una situazione di precarietà, sempre in procinto di rompersi, anche se in scala meno vistosa ma comunque allarmante.

Non solo nel viaggio dei cinque animali l'uomo è il grande assente, ma sembra anche che le sue tracce – bottiglie di vetro, specchi, gioielli, ceste, gli oggetti che in definitiva solleticano la vanità di un altro primate, il lemure – siano del tutto secondarie ai fini della sopravvivenza. In fin dei conti, nella storia questi manufatti scatenano i pochi momenti di lite tra i naufraghi, ma non sono indispensabili alla salvezza dei protagonisti. Significativo in proposito è il contrasto tra la sequenza iniziale, in cui si vede il gatto arrampicarsi su giganti sculture a forma di felini, per salvarsi inutilmente dal diluvio, e quella finale, in cui quattro dei protagonisti (manca il serpentario, svanito in una colonna d'aria) si soffermano a osservarsi nell'acqua: per la prima volta trovano la calma per riflettere e riflettersi in uno specchio naturale, non fabbricato dall'uomo. In questo modo scopriranno finalmente chi sono e come sono diventati uniti tra loro – e lo fanno guardando nell'acqua, cioè direttamente in quella natura che per tutto il viaggio è sembrata loro nemica. 

Al termine del viaggio gli animali hanno imparato ad adattarsi ai movimenti imprevedibili degli elementi naturali, a seguirne il flusso continuo (il flow del titolo), a fare a meno di quanto è superfluo nelle cose e nelle relazioni, a lasciar andare i meccanismi di autodifesa innati per lasciar spazio alla presenza dell'altro e del suo apporto benefico. Nella barca sospinta dalle onde e a rischio di incappare tra gli scogli non c'è spazio per temporeggiare, per litigare, per istintivi egoismi. Collaborare diventa allora una necessità: valorizzare ogni individualità significa compiere un passo essenziale, l'unico per riuscire ad andare avanti. In questo film il regista riesce a far sentire con forza la maestosità e la potenza della natura, raggiungendo generazioni diverse di spettatori, attraverso la ricchezza dei dettagli visivi e una particolare colonna sonora che accentua il ritmo incalzante della storia. La breve scena finale, dopo i titoli di coda: una distesa di mare al tramonto, dove nuota sereno il cetaceo che sembrava deceduto alla fine del film, sembra ricordarci che quel mondo fantastico non è così distante dal “nostro” mondo e che nella “normalità” in ogni momento può irrompere la catastrofe. Saremo allora pronti a rimboccarci le maniche e a lottare per sopravvivere come fanno i protagonisti della storia, nei cui tratti così realistici forse abbiamo potuto riconoscere aspetti dei nostri piccoli animali domestici? Di questo film si parlerà molto, vista anche la sua meritata candidatura per la Lettonia come miglior film internazionale agli Oscar 2025.

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Flow | Film | Gints Zilbalodis | LVA-BE-FR 2024 | 85’ | Zurich Film Festival 2024

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First published: January 06, 2025