Favolacce

[…] In «Favolacce», premiato all’ultimo festival di Berlino per la migliore sceneggiatura, la periferia è ancora protagonista, ma assume una dimensione archetipica, quasi atemporale.

[…] I rapporti di genere sono tossici: la mascolinità fatica a mantenere il suo tradizionale ruolo egemonico, è in crisi ma non se lo vuole dire, mentre le figure femminili non sembrano ancora pronte ad abbandonare il ruolo ancillare di stampelle.

Text: Mattia Lento

La periferia romana è ritornata in auge nel cinema contemporaneo e nella serialità in Italia dell’ultimo decennio. Era da anni che non occupava un posto così rilevante nel panorama culturale della Penisola. Lo straordinario successo internazionale della serie Netflix Suburra è solo la punta dell’iceberg di un fenomeno molto più ampio. È stato Pasolini, con i suoi romanzi prima e il suo cinema poi, a farci scoprire i ragazzi di vita, gli accattoni e le donne di strada delle borgate romane. Ormai è passato più di mezzo secolo. Oggi le periferie della Capitale sono cambiate, ma hanno lo stesso potere di fascinazione di un tempo, quantomeno nelle produzioni più riuscite e meno manieristiche. Alcune caratteristiche dei suburbi romani emerse negli ultimi anni, quantomeno nella rappresentazione mediatica mainstream, come la criminalità diventata più pericolosa e organizzata di un tempo e le forti tensioni sociali accompagnate da quelle etniche, la rendono un terreno narrativo più aperto a diversi generi e tendenze rispetto a prima.  

I fratelli D’Innocenzo sono cresciuti fuori Roma, nel quartiere di Tor Bella Monaca, e con il loro esordio, La terra dell’abbastanza (2018), hanno fornito una prova molto convincente proprio nell’ambito del cinema di periferia. In questa opera, che potremmo definire alla stregua di un romanzo di formazione criminale, hanno utilizzato uno stile fortemente realista, restituendo un’immagine della periferia cupa e dalle tinte noir. Con il loro secondo film, Favolacce, i due registi si situano ancora, sulla carta, nel filone del cinema di periferia, anche se in realtà vanno oltre le coordinate di questa sorta di macrogenere.

In Favolacce, premiato all’ultimo festival di Berlino per la migliore sceneggiatura, la periferia è ancora protagonista, ma assume una dimensione archetipica, quasi atemporale. Le vicende che si svolgono a livello di sceneggiatura nel famigerato quartiere di Spinaceto (una cattiva fama dovuta a una famosa battuta di Nanni Moretti nel film Caro diario) potrebbero in realtà essere ambientate in qualsiasi altra parte del mondo occidentale. Sentiamo il sapore di Roma, negli accenti immancabilmente marcati, ma non molto di più. La regolarità architettonica, la presenza ossessiva dei giardini e un certo tipo di conformismo la rendono più simile a un contesto statunitense degli anni Cinquanta, la suburbia per antonomasia. Un elemento questo confermato dai modelli letterari dei due registi a cui, a più riprese, hanno dichiarato di rifarsi esplicitamente. I due autori s’ispirano infatti, tra gli altri, a scrittori come John Updike e Richard Yates, cantori delle ansie sociali dei sobborghi americani.

La periferia di Favolacce è bruciata dal sole, ordinata, più o meno benestante, a tratti sembra persino solidale. È però tutta un’apparenza: la violenza è invisibile, strisciante, soffocata e pronta a esplodere nella maniera più inaspettata. I rapporti di genere sono tossici: la mascolinità fatica a mantenere il suo tradizionale ruolo egemonico, è in crisi ma non se lo vuole dire, mentre le figure femminili non sembrano ancora pronte ad abbandonare il ruolo ancillare di stampelle. In questo contesto sono i più piccoli a soffrire, ma lo fanno in silenzio, tra un gioco d’acqua e l’altro. Mentre gli adulti, anche dal punto di vista recitativo, sono nervosi, sopra le righe, grotteschi, i bambini affidano la loro inquietudine ai silenzi, agli sguardi, all’immobilità. La direzione degli attori è proprio uno dei punti forti della regia dei due fratelli, insieme alla fotografia di Paolo Carnera e alla composizione dell’immagine operata anche attraverso un sapiente lavoro di selezione del profilmico.   

I bambini di Favolacce, costretti ad osservare lo spettacolo mediocre inscenato dalle vite dei rispettivi genitori, hanno perso loro malgrado l’innocenza e, complice un cattivo maestro dalla presenza inquietante e allo stesso tempo liberatoria, trasformeranno la favola di periferia venuta male in un autentico incubo dalle tinte orrorifiche.

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Favolacce | Film | Damiano D’Innocenzo, Fabio D’Innocenzo | IT-CH 2020 | 99’ | Zurich Film Festival 2020 | Best Screenplay at Berlinale 2020

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First published: September 30, 2020