A ciambra

[…] Qui viene messo in discussione lo spirito dei rom, spirito di libertà, di strada, di continua lotta contro il mondo, attraverso una riflessione sul loro effettivo destino di emarginazione e sottomissione.

[…] Dietro l’impressionante forza documentaria del lavoro filmico di Jonas Carpignano, è proprio quello della fiducia e dell’amicizia il vero filo rosso che mette in tensione ed anima la narrazione di «A ciambra».

Il secondo lungometraggio di Jonas Carpignano è una sorta di pendant del primo, Mediterranea, che Filmexplorer ha già discusso in precedenza (vedi articolo). Incentrato il primo sulla migrazione africana in Calabria, più precisamente a Rosarno, quella che era una figura secondaria, il ragazzino rom Pio, diventa ora il protagonista di una comunità che riflette un’altra forma di migrazione, quella storica e ormai stanziale dei rom, in questo caso a Gioia Tauro. Come in Mediterranea, le varie vicende raccontate in A ciambra costituiscono solo la trama il cui ordito ha certamente un respiro più ampio di quello delle piccole avventure quotidiane di Pio: qui viene messo in discussione lo spirito dei rom, spirito di libertà, di strada, di continua lotta contro il mondo, attraverso una riflessione sul loro effettivo destino di emarginazione e sottomissione. Sotto il giogo della ‘ndrangheta italiana, la comunità rom appare, sotto la patina del folklore comunitario, come una realtà desolata e schiavizzata. Il nonno di Pio, figura legata all’icona storica ed ora solo immaginaria del cavallo senza briglie, costituisce l’estremità ultima a cui si richiama l’ultima generazione di ragazzini, di cui Pio è l’eroe e il portabandiera.

Ma cosa significa assumere questa eredità storica per Pio? Incarnare il mito di un cowboy illegale e violento, oppure liberarsi dalla legge della giungla per ritrovare una libertà più costruttiva nell’alveo della legalità? In quello che potrebbe sembrare un film del genere coming-of-age, il ragazzino Pio vive infatti il dilemma storico-sociale – per i rom – tra entrare nella società degli òmini, tristemente contraddistinta dai caratteri machisti e delinquenziali del fratello maggiore Cosimo, oppure seguire le orme del suo amico ghanese che funge da fratello maggiore alternativo, Ayiva. Quest’ultimo, e con lui parte della comunità africana di Rosarno, ha il ruolo di “buon esempio”, o almeno di un esempio in cui piccole illegalità commerciali sembrano scusate da intatti e nobili valori come quello del lavoro e soprattutto quelli della fiducia, dell’affidabilità, della solidarietà, dell’amicizia sincera.

Dietro l’impressionante forza documentaria del lavoro filmico di Jonas Carpignano, è proprio quello della fiducia e dell’amicizia il vero filo rosso che mette in tensione ed anima la narrazione di A ciambra. Le impietose note realiste ed immersive delle immagini, in cui il regista dà prova di una grande capacità di ricostruzione della realtà di questo pezzo sofferente d’Europa, sono raddoppiate dalle note psicologiche, quasi intimiste, del racconto di un ragazzino chiuso nella solitudine forgiata dalla cultura della diffidenza – forse la piaga principale del Mediterraneo… – ma anche di un ragazzino che comunque riesce ad aprirsi alla fiducia, all’amicizia, grazie ai valori espressi dalla comunità ghanese con cui è in contatto.

Ma la forza centripeta dei disvalori familiari orientati ad un eroismo violento e disperato – esattamente come lo è quello di tutte le mafie – ha infine la meglio. La prova del fuoco che risolverà il dilemma del giovane Pio, infatti, consiste proprio nel tradimento della fiducia – il più grave dei peccati, almeno se ci riferiamo a quella cosmologia dantesca che ha dettato una parte importante dell’orizzonte morale italiano – consiste cioè nella rottura del legame di amicizia con Ayiva, così duramente guadagnato. Per quanto il finale di A ciambra lasci un segno molto doloroso nello spettatore, va detto che una soluzione edificante sarebbe risultata poco verosimile e avrebbe certamente tradito la triste realtà che attanaglia molte lande del nostro sud. Se Mediterranea ci lasciava con un po’ di speranza, mutuata dai valori sani di alcuni degli africani migranti in Italia, la prospettiva “italiana” che Carpignano ha voluto assumere con A ciambra costituisce il pendant negativo ovvero disperato del primo film. A questo proposito, forse non è un caso che alla polifonia tematica di Mediterranea subentri ora, con A ciambra, un racconto più tradizionale, e più tradizionalmente polarizzato dalla presenza di un personaggio principale, estremamente presente, volutamente indagato psicologicamente; insomma, un personaggio polarizzato nella forma da quell’eroismo romantico che è solitamente foriero di catastrophài sventurate.

Nota a margine: sarebbe bello poter vedere in futuro film di questa portata arrivare a Cannes senza la mediazione di un “padrino” come Martin Scorsese, che figura tra i produttori di A ciambra

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A ciambra | Film | Jonas Carpignano | IT-USA-FR-DE 2017 | 120’ | Zurich Film Festival 2017

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First published: October 09, 2017